Acheronta  - Revista de Psicoanálisis y Cultura
A proposito di sfide della psicoanálisi: l'ascolto ha nazionalitá?
Lucía Fenik

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Spunti per una teoria dell’ascolto che non discrimini l’andatura della Psicoanalisi nel mondo, che, come sappiamo, è bello perché vario. Il Capitalismo in Italia: depressione. Il fallimento del Capitalismo in Argentina: tra l’ angoscia del vuoto (Somos basura" cioè in italiano "siamo immondizia) e la ricerca di una espressione politica del futuro. Il particolare? Sì, ma l’universale anche.

Sono a Firenze, Toscana, Italia; ma non sono sempre stata qui. Eppure, qui ed altrove, mi sono sempre interessata di Psicoanalisi. Un po’ perché sono un’analizzante convinta, un po’ perché mi ci trovo nel tema come a casa, io, che ho smesso di avere una patria.

Vi racconto brevemente: quando ero appena arrivata a Firenze, in mezzo allo spaesamento generale, leggevo le locandine attaccate ai muri della città, e oltre all’attività culturale intesa come spettacolo, ho trovato, allora, poster esplicativi e convocanti a diversi incontri psicoanalitici. Non erano ancora alla mia portata, si sa, essere uno straniero vuole dire innanzitutto spendere tanta pazienza della quale ci si può arricchire molto prima che di soldi, ma fui molto contenta perché mi ripromisi di andarci a fiutare appena mi fosse stato possibile.

Il possibile arrivò, due anni dopo, quando conobbi Alberto Zino. In realtà ero passata –innocente come solo uno straniero può essere- per una lunga teoria di psicoterapeuti che non coincidevano con ciò che cercavo. Io cercavo un analista, e cercavo, altrettanto, la vita segreta della Psicoanalisi a Firenze, in Toscana, in Italia.

I psicoterapeuti che contattavo allora, mi arrivavano come nomi segnalati da qualcuno tra le mie poche conoscenze, o grazie alla consultazione di siti web istituzionali o pagine gialle (ce ne sono tante pagine gialle; ora, le " bianche" sono in franca discesa). Va bene, non volevo psicoterapeuti, e questo è tutto un tema. Ma la cosa che voglio raccontare è che man mano che cercavo, perfino inseguivo la traccia di qualche analista madre lingua spagnola, visto che io sono nata in Argentina.

E probabile che la mia esperienza personale sia solo quello: una esperienza personale senza interesse generale, ma ho pensato, grazie a questa mia esperienza, a cose che, credo, siano curiose oltre che per me, per tutti. Per esempio, mentre cercavo, ho conosciuto perfino una psicoterapeuta colombiana, cioè madre lingua spagnola, che, quando al telefono ho chiesto appuntamento e spiegato sommariamente la mia situazione, dicendo che "parteggio" per la psicoanalisi, mi ha risposto "da buona argentina".

Tenete presente questa frase.

Dopo parecchi tentativi e tante entrate ed uscite da studi dove perfino mi veniva chiesto di togliermi le scarpe, ho trovato in rete la rivista Psicoanalisi Critica, diretta da Alberto Zino. La procedura fu la normale: riconobbi il discorso psicoanalitico, chiamai il numero indicato, feci l’appuntamento ed iniziai la mia analisi.

Ebbe fine –per ora- il mio girovagare.

Scambiando informazione, Zino mi disse dell’Istituto Gradiva. Andando avanti ancora, mi cadde in mano un libro, delle edizioni ETS, a cura di Giuliana Bertelloni, Simone Berti e Pier Giorgio Curti con gli scritti di diversi psicoanalisti italiani, a guisa di frutto di una giornata di riunione a Livorno, l’anno scorso, cioè il 2001.

Il tema è "Le sfide della Psicoanalisi". E’ un bel libro e solo posso consigliare di leggerlo. Il punto è che per sentirsi coinvolta veramente nelle diverse visioni di questi autori, bisogna mirare dall’angolatura italiana. Vale a dire, "da buona italiana".

Tenete presente questa frase.

La Psicoanalisi è un campo di attività e di speculazione del pensiero che, per natura propria, è sempre di fronte a sfide. Sono passati cent’anni; le sfide della psicoanalisi non sono uguali nei diversi luoghi del mondo né nei diversi tempi del mondo. Come posso fare per non precludermi l’orizzonte delle sfide –per me vitali- se in ogni luogo si pensa solo alla realtà –paradigmatica- del luogo stesso?

E poi, l’orologio segna diverse ore, qui, là, più in là.

Devo essere una "buona argentina", o una "buona italiana"? Quale fuso orario devo scegliere?

Sembra che in Argentina dovevo essere una buona argentina, e qui, in Italia, una buona italiana, anzi, a Firenze una buona fiorentina, perché io non credo che a Napoli si possa parlare delle stesse sfide della Psicoanalisi che sicuramente imperversano dal centro al nord.

Ho fatto un lungo soggiorno in Veneto, Polesine per essere esatta, è lì, penso, la grande sfida era ed è ancora (non può essere molto cambiata in un paio d’anni) la non circolazione del discorso analitico. Sì, certo, la cura chimica dell’umano disagio è all’ordine del giorno, ma non c’è nemmeno la possibilità di parlare socialmente di psicologia. Quindi, le alternative psicoterapeutiche non sono nemmeno tenute in conto. Lo dico perché, tutto sommato, sono meno inquietanti, quindi dove si nega la Psicoanalisi, ben si può accettare le psicoterapie.

A Firenze, in Toscana, c’è più dimestichezza, più familiarità sociale con le parole "psicologia" e "Psicoanalisi"; è già un punto di partenza diverso.

Le sfide della Psicoanalisi.

Posso dire, "da buona argentina" che ci sono paesi nel mondo in cui gli psicoanalisti si domandano, per esempio, come ricostruire una nozione di avvenire quando qualcosa del futuro è stato ucciso nel presente. Leggo, on line, articoli di analisti argentini –ed è nota la situazione argentina- che dichiarano, con coraggio e con ardore che il gergo psicoanalitico non basta per dire la angoscia che scatta sia in analisti che in analizzanti. E ’ una sfida ben diversa ed altrettanto importante della sfida Toscana che impone lottare, sottrarre soggetti alla schiavitù consumistica, all’imperativo del "godi!", alla depressione e all’attutimento del desiderio. Per questi psicoanalisti (Firenze e dintorni) si tratta di sedurre "altri" promettendo, forse, un po’ più di dolore, un po’ più di quello che pur essendoci, non si riconosce più, non si nomina più, visto che solo si parla della noia, per poter recuperar qualcosa dell’ordine dell’allegria.

Per quegli psicoanalisti (gli argentini), si tratta, forse, di promettere un po’ meno di dolore, nel senso egoista del personale, un po’ di sana "indifferenza" per poter accedere, a volte, all’allegria di vivere in mezzo alla sovrabbondante dicitura del dolore. Una politica nel mondo del fallimento sociale.

Sembra un gioco di parole, e forse lo è, ma nella mia esperienza personale, mi pare che le sfide siano diverse. Poi, se vogliamo parlare ancora dell’oggi argentino, devo dire che là si lotta contro l’impossibilità "reale" e non solo sintomatica, della mancanza di denaro. In Argentina la gente veramente non ha soldi, nemmeno per mangiare, figuriamoci se possono permettersi di fare analisi. Deve per questo sparire la Psicoanalisi?

Da tutto questo, come una cascata, divengono infinite sfumature. Storia e preistoria della Psicoanalisi simultaneamente, in un mondo che propone diverse sfide.

Certo, ogni analista deve fare i conti con il suo entourage, ma, a modo di domanda rilanciata e solidale con il lancio stesso, e finalmente capendo che lo straniero per eccellenza è l’analista, non sarebbe interessante incrociare alcuni dati di cosa succede in altri luoghi del pianeta?

Mi viene in mente di chiedermi cosa succede psicoanaliticamente parlando nei paesi africani, in Australia, in Medio Oriente… Siamo tutti impregnati di pregiudizi e anche in base a dati reali che conosciamo, ed a altri che immaginiamo, e pensiamo che dove regna l’Islam non ci sia Psicoanalisi, per esempio. Diamo per scontato che in Africa ci siano ben altri problemi, ed è probabilmente vero, diamo per scontato che in Argentina, così simile all’Italia sia come qui… e invece non è così.

Argentina non è Colombia, ne Cile, né Ecuador o Venezuela, per niente Bolivia né Perù, né Brasile, un po’ più simile all’Uruguay, meno al Paraguay, molto di più a Spagna, dove gli esiliati argentini hanno trovato, da decenni, modi di vivere e morire. E si sa, da buoni argentini, sono tutti psicoanalisti…

La battuta si giustifica da sé: avete in mente la prima frase che vi ho chiesto di trattenere?

Penso anche che la verifica di questi "sospetti" su come vada il resto del mondo è proprio ciò che si chiama un "lavoraccio". Le statistiche verranno a mancare, senza dubbio, ma, a volte, penso, indirizzare meglio l’immaginazione può servire, e invece di chiudere le orecchie, aprirsi in ascolto ai testimoni viventi, i tanti stranieri che apportano la loro esperienza abitando a Firenze ed in tutta Italia, potrebbe riempire di spunti di cui la clinica, precisamente, potrebbe arricchirsi. O si considera clinica il solo lavoro in seduta?

Un analista, mi pare, somiglia in questo aspetto a un giornalista, che non può –se è veramente un giornalista- ovviare ciò che sente in piazza in pro di ciò che legge su di un comunicato stampa con pretese di ufficialità o di verità dalla quale partire "verso".

Se io fossi un’analista, non mi limiterei a credere che solo i miei analizzanti –o quelli del collega- siano lo schermo sul quale il mondo progetta le sue sfide alla Psicoanalisi. No, portatori di sfide sono quelli che perfino non sono i miei analizzanti! O che non sono analizzanti affatto. Se si dà dell’analista in me, non è detto che si dia in ore fisse e date prenotate. Si dà e basta.

Gli spunti, credo, sono utili, anche se per documentarli ci sia bisogno di una vita, ma nessuno inizierà l’ingente lavoro se non vengono, per primi, i famosi spunti.

A parte, mettiamo che uno straniero, uno che è nato in un altro paese, voglia fare l’analista in Italia… gli chiedereste di farlo come un italiano, di esaminare le sole sfide italiane della Psicoanalisi?

O meglio, bisogna oggi credere che si diventerà specialisti anche tra analisti, cioè quello che si occupa di analizzanti madre lingua spagnola, quello che invece si specializza in italiani, quello che prende gli analizzanti depressi o solo gli ossessivi?

Perché se ci sono soltanto gli occhi per guardare le sfide della Psicoanalisi di una società capitalista, non c’è ascolto per il soggetto che viene da una esperienza non capitalista, o capitalista fallita.

Insomma, torna il mondo (e questa volta parlo del mondo della Psicoanalisi) a discriminare?

Consolatevi, se prendete gli spunti dagli stranieri, forse troverete ancora un’autentica isterica, identica a quelle che analizzava Freud.

Lucia Fenik

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Revista de Psicoanálisis y Cultura
Número 15 - Julio 2002
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